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Riflessioni per sacerdoti e comunità in tempo di emergenza

La pandemia: una grande prova di fede

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Oggi non è in pericolo la fede. Sono in pericolo le persone compresi i cristiani. Radicalmente diversi sarebbero i ragionamenti da fare se ci fosse un attacco e una persecuzione nei confronti dei cristiani. Allora sì che dovremmo ribellarci ed essere coraggiosi nel testimoniare la fede in tutte le sue forme dicendo come i martiri di Abitene che senza la domenica non possiamo vivere. In ogni caso una pandemia drammatica come questa è anche un fortissimo richiamo a interrogarsi sulla qualità della nostra vita a livello individuale e a livello collettivo.

Mi vengono in mente le parole di Gesù, rivolte a coloro che chiedevano spiegazioni a proposito di quei Galilei uccisi nel tempio di Gerusalemme mentre offrivano sacrifici a Dio: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,2-3). Gesù non intende certo affermare che chi non si converte è esposto a grandi disgrazie in questo mondo. Come a quei Galilei non servirono a nulla i sacrifici che stavano offrendo per evitare una terribile morte, così non serviranno a nulla i bei discorsi, i molti sacrifici offerti per evitare un duro giudizio di Dio a chi non è disposto ad intraprendere un serio cammino di conversione.

Ogni tragedia, tanto più quelle drammatiche e che riguardano la maggior parte dell’umanità come in questo caso, costituisce sempre una grande prova per la fede e un grande invito alla conversione. Ogni tragedia è sempre una prova per la fede, in quanto è forte la tentazione di urlare: dov’è Dio? Perché non ci viene in aiuto in modo più evidente? Rafforzare la fede vuol dire rinnovargli la nostra fiducia e il nostro amore, anche se non ci è tutto chiaro. Vuol dire non pensare che ci abbia dimenticato e non ci ami più. Per fare questo non basta essere ottimisti dicendo: “Andrà tutto bene”. Come incoraggiamento psicologico alle persone va benissimo che lo si dica. Però rafforzare la fede vuol dire soprattutto ricordarci e ricordare a tutti – purtroppo lo fa soprattutto la pandemia con tragica evidenza – che siamo mortali. Non ci può essere piena salvezza per l’uomo – non potrà mai andare tutto bene – se la morte è l’ultima, definitiva, tragica e beffarda parola sulla vita di ogni uomo. Solo a partire dal centro della nostra fede centro “Cristo è Risorto, Cristo ha sconfitto per sempre la morte” si può dire con verità che andrà tutto bene.

I cristiani, in un tempo difficile come questo, sono chiamati a ricordare, prima a sé stessi e poi a tutti gli altri, la vittoria di Cristo sulla morte. La vittoria di Cristo sulla morte è prima ancora vittoria sul peccato. Non ogni vita è immediatamente degna di durare per sempre. L’amore vero dice al nostro cuore che i legami d’affetto, di amicizia, di amore non possono finire, devono appunto durare per sempre. L’amore vero dice anche al nostro cuore che gli uomini devono vivere come fratelli, da figli di uno stesso Padre. In questa direzione si capisce il pressante invito di Gesù alla conversione: stiamo vivendo bene la nostra vita precaria e fragile per essere degni della vita eterna? Da questa drammatica pandemia ci viene rivolto un pressante invito a verificare la qualità della nostra vita per vedere se il nostro amore per Dio si concretizza nel rispetto del prossimo, nella cura per il creato, nell’osservanza dei comandamenti, nell’attenzione ai più deboli, in una parola nella ricerca del regno di Dio e della sua giustizia.

Sono tante le persone che nella lotta a questo terribile virus ci offrono esempi luminosi di dedizione al proprio dovere e di amore per il prossimo. Sarà importantissimo, debellata la pandemia, uno spirito di responsabilità, collaborazione, solidarietà, attenzione ai più deboli perché le conseguenze sociali ed economiche non siano peggiori della pandemia stessa. Sarà decisivo anche riscoprire la stretta correlazione tra la dimensione cultuale della religione (la pratica religiosa) e la qualità morale della religione (la vita buona secondo Gesù Cristo). Personalmente confesso di aver vissuto e di vivere sentimenti di grande paura per me, per le persone a cui mi sento più legato, per le persone nei confronti delle quali sento di avere delle responsabilità. Queste paure, umanamente comprensibili, sono anche il segno di una fede piccola e fragile. Confesso inoltre che le mie paure non sono solo il segno evidente di un attaccamento a questa vita, ma manifestano anche la consapevolezza di non sentirmi ben preparato all’incontro con Dio. Una mia conoscente mi ha scritto: “Mi auguro che sappiamo fare memoria di quello che abbiamo compreso in questo periodo”. Lo auguro a me stesso e lo auguro a tutti.

Dopo la pandemia saremo migliori solo se tanti si ricorderanno di quanto hanno compreso in questo periodo, se sentiremo la necessità di rendere più giusta e buona la nostra vita.

Continuiamo anche a chiedere a Dio che rafforzi la nostra piccola fede, dandoci dei segni che ci aiutino ad uscire al più presto da questa tragedia.

Don Marco Andina

Don Marco Andina, 1959, è sacerdote della diocesi di Asti dal 1984. Licenziato in teologia morale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano, è attualmente vicario generale della diocesi di Asti, direttore dell’ufficio scuola (IRC) e delegato per il diaconato permanente.

Lo ringraziamo molto per averci donato questa riflessione, in un momento così complesso che tentiamo di attraversa tutti insieme approfondendo il rapporto con Dio, ciascuno nel suo piccolo. 

 


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